NEWS AI TEMPI DEL COVID19

Mediazione obbligatoria per la responsabilità contrattuale causata da COVID19

Nella seduta del 17 giugno 2020, il Senato ha approvato con un voto di fiducia il maxi-emendamento del Governo sulla conversione in legge del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, recante misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta COVID-19.

Il legislatore ha previsto una nuova ipotesi di mediazione obbligatoria introducendo un comma 6-ter all’art. 3 d.l. n. 6/2020:

«Nelle controversie in materia di obbligazioni contrattuali, nelle quali il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto, o comunque disposte durante l’emergenza epidemiologica da COVID-19 sulla base di disposizioni successive, può essere valutato ai sensi del comma 6-bis, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, costituisce condizione di procedibilità della domanda».

La ratio della norma è chiara nell’inserire tra le materie di cui al comma 1-bis dell’art. 5 del DLgs. 28/10 per cui è necessario il previo esperimento della mediazione come condizione di procedibilità le controversie di natura contrattuali derivanti dalle disposizioni di “lockdown”. Ad esempio, tutte le controversie del settore turistico-alberghiero (biglietti aerei, anticipi per viaggi, etc..), rimborsi per spettacoli non eseguiti, contratti di fornitura non rispettati, ritardi di consegna di merce e molti altri ancora.

Queste ultime sono solo alcune delle materie in cui il tentativo di mediazione civile ora si rende necessario per poter procedere successivamente in sede giudiziaria.

Fermo restando i casi di mediazione obbligatoria già disposti dall’art. 5 del D.Lgs 4 marzo 2010, n. 28 come ad esempio: contratti di locazione, anche commerciale, comunione, condominio, successioni, risarcimento del danno per diffamazione a mezzo stampa, responsabilità medica, etc.

Con lo smart working il datore di lavoro può monitorare il dipendente?

Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro. La definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto.

Il ricorso allo smart working può rivelarsi una grande opportunità per il mercato del lavoro per far fronte all’emergenza sanitaria provocata dalla diffusione del coronavirus. Con il ricorso al lavoro agile si cerca infatti, da una parte, di mantenere intatta, per quanto possibile, la produttività aziendale, dall’altra, per il lavoratore vi è una  maggiore flessibilità nella gestione del tempo e dello spazio di lavoro.

Lo smart working è basato sul principio di reciproca fiducia infatti la fiducia viene posta al centro del rapporto tra le parti (lavoratore e datore di lavoro).

Tuttavia, il modo improvvisato con cui il sistema produttivo si è avvicinato a questo strumento nasconde alcune insidie. La principale insidia che potrebbe emergere in modo più evidente è la gestione dei controlli sul lavoratore. Ciascun datore di lavoro infatti ha il diritto di svolgere controlli sul corretto svolgimento della prestazione dei propri dipendenti, senza distinzioni sulle modalità di esecuzione, a patto che siano rispettati i limiti fissati dallo Statuto del Lavoratori. 

L’ articolo 4 dello Statuto dei lavoratori ha una particolare rilevanza quando si parla di lavoro agile, perché fissa un principio molto rigoroso. Sono vietati l’ installazione e l’ uso di apparecchiature tecnologiche e sistemi in grado di controllare a distanza lo svolgimento dell’ attività lavorativa del dipendente. Il ricorso a questi apparecchi può essere consentito solo in caso di accordo sindacale o di autorizzazione dall’ Ispettorato territoriale del lavoro.

Pertanto, i datori di lavoro non potranno usare software aziendali, webcam e altre tecnologie digitali per capire se lo smart worker è collegato al suo computer o per verificare quali siti internet sta utilizzando; questo comportamento oltre a essere contrario alla logica del lavoro agile sarebbe illecito. Qualora, invece, lo strumento di controllo a distanza sia lecitamente installato, il datore di lavoro deve preventivamente informare il lavoratore agile sulla possibilità di eseguire controlli sulla sua prestazione.

Se il datore di lavoro avesse il fondato sospetto che il dipendente stia commettendo degli illeciti, può svolgere controlli mirati, (anche a distanza) a patto che siano proporzionati e non invasivi. In ogni caso i controlli devono riguardare solo ed esclusivamente i beni aziendali.

Naturalmente il singolo accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore che regola la modalità smart working può disciplinare anche le forme di esercizio del potere di controllo, per i periodi nei quali l’attività lavorativa si svolge fuori dai locali aziendali. In tale accordo dovranno anche essere definite le condotte che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari. Le parti potrebbero quindi stabilire specifiche forme di controllo, sempre restando dentro i limiti dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.

Avv. Stefania Rosa

Procura alle liti: novità processuali

Con il voto di fiducia della Camera di venerdì 24 aprile il Parlamento ha convertito in legge il decreto “Cura Italia” (decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”) apportando delle modificazioni.

Tra le novità più significative per il mondo della giustizia vi è la maggiore facilità per l’avvocato di raccogliere la procura alle liti. L’art. 83 CPC stabilisce che “quando la parte sta in giudizio col ministero di un difensore, questi deve essere munito di procura”. Quando la procura speciale è apposta in calce o a margine dell’atto giudiziale (o su foglio separato ma materialmente congiunto a quest’ultimo), l’autografia della sottoscrizione della parte deve essere certificata dal difensore. Naturalmente, affinché il processo di autenticazione sia immune da vizi, esso presuppone l’identificazione del cliente da parte del difensore, sicché la norma di cui all’art. 83 c.p.c. sottende che la sottoscrizione da parte del cliente sia apposta “alla presenza” del difensore.

Per bilanciare le opposte esigenze (identificazione e piena operatività delle attività difensive anche durante l’emergenza sanitaria derivante dalla diffusione del Covid-19), nel corso dell’esame del decreto “Cura Italia”, nell’art. 83 (dedicato alle misure in materia di giustizia) è stato inserito il comma 20-ter relativo alle modalità di conferimento della procura alle liti.

Tale norma prevede una disciplina speciale per la sottoscrizione della procura nei procedimenti civili destinato ad operare fino alla cessazione delle misure di distanziamento: “nei procedimenti civili la sottoscrizione della procura alle liti può essere apposta dalla parte anche su un documento analogico trasmesso al difensore, anche in copia informatica per immagine, unitamente a copia di un documento di identità in corso di validità, anche a mezzo di strumenti di comunicazione elettronica. In tal caso, l’avvocato certifica l’autografia mediante la sola apposizione della propria firma digitale sulla copia informatica della procura. La procura si considera apposta in calce, ai sensi dell’articolo 83 del codice di procedura civile, se è congiunta all’atto cui si riferisce mediante gli strumenti informatici individuati con decreto del Ministero della giustizia”.

Pertanto la procura alle liti consistente in un documento analogico sottoscritto (presumibilmente un documento cartaceo scansionato) può essere inviato dal Cliente al difensore anche in copia informatica per immagine, avvalendosi anche dell’utilizzo di strumenti di comunicazione elettronica. Nel caso di trasmissione in via elettronica, l’avvocato è tenuto a certificare che la firma della parte sia autografa apponendo la propria firma digitale sulla copia informatica della procura.

Ai sensi dell’art. 83 CPC la procura così compilata si considera apposta in calce all’atto o agli atti cui si riferisce se viene congiunta ad essi tramite gli strumenti informatici individuati con decreto del Ministero della giustizia (principalmente, attraverso l’invio nella medesima “busta telematica” in cui l’atto è contenuto).

La modalità di sottoscrizione della procura alle liti individuata dall’art. 83 comma 20 ter, finalizzata ad ovviare alle misure di distanziamento sociale stabilite dalla normativa d’emergenza emanate per il contenimento della diffusione della pandemia Covid-19, risolve un problema pratico di non poco momento e potrà essere utilizzata fino alla cessazione di tali misure.

Avv. Stefania Rosa

 

Telelavoro e smart working: due differenti modalità lavorative

Telelavoro e smart working a volte vengono usati impropriamente come fossero sinonimi ma in realtà questi termini rappresentano due modalità di lavoro concettualmente diverse tra loro o, più correttamente, l’uno deriva direttamente dell’altro, in quanto lo smart working rappresenta l’evoluzione del telelavoro resa possibile dall’innovazione degli strumenti digitali e dalla diffusione della connettività.

Smart working e telelavoro, infatti, sono due differenti modalità lavorative che hanno sicuramente dei punti di contatto ma anche notevoli differenze. Tra i punti di contatto rientra sicuramente l’utilizzo delle tecnologie che rendono possibile il lavoro da remoto e l’utilizzo della connessione ad internet.

Tra i vantaggi di queste forme di lavoro c’è quello della limitazione degli spostamenti pertanto entrambe le pratiche sono oggetto di grande attenzione nell’ultimo periodo perché consentono di limitare al massimo il contagio da coronavirus, permettendo comunque di non sospendere l’attività lavorativa e non subire le conseguenze negative del fenomeno virale sul piano economico.

Analizziamo ora le peculiarità di ciascuna forma di lavoro. Per smart working, o lavoro agile, si intende una modalità lavorativa di rapporto di lavoro subordinato in cui c’è un’assenza di vincoli a livello di orario e di spazio. Nel nostro ordinamento la legge che regola il lavoro agile è la n. 81 del 2017.  La normativa è ben chiara nello spiegare che lo smart working non è una nuova tipologia di contratto, ma solamente un nuovo modo di operare con orari più flessibili e lontano dalla sede aziendale. 

La flessibilità organizzativa e la volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale sono due punti cardine di tale pratica. Il termine inglese “smart” si riferisce all’obiettivo migliorare produttività del lavoratore grazie alla conciliazione dei tempi di vita e lavoro. Nello smart working, il dipendente svolge la propria attività fuori dall’azienda ma decide in piena autonomia i tempi e il luogo di lavoro, senza una postazione fissa. Il lavoratore è quindi libero di scegliere e cambiare il luogo di lavoro come e quando preferisce. 

L’utilizzo di mezzi adatti a svolgere parte del lavoro anche in altri luoghi diversi dalla sede ordinaria è un altro requisito fondamentale e comune anche alla pratica del telelavoro, che è possibile solamente con strumenti che permettono di lavorare da remoto quali pc, tablet, smartphone ecc.

Punti essenziali dello smart working sono uguale trattamento economico rispetto agli “insiders”; obbligo di informazione su rischio infortuni e malattie professionali con copertura Inail; diritto alla disconnessione in quanto deve essere riconosciuto il diritto al riposo e il rispetto dell’orario di lavoro definito, esattamente come accade per tutti gli altri lavoratori. Più precisamente, il lavoro agile può essere di per sé reso anche senza sottostare a vincoli d’orario troppo stringenti: va tuttavia garantito il limite prefissato dalla durata massima giornaliera e settimanale derivante dalla legge e dalla contrattazione collettiva di riferimento.

La differenza principale tra lavoro agile e telelavoro è che il secondo è invece basato su un diverso concetto di fondo.  Per telelavoro si intende un lavoro che si svolge a distanza rispetto alla sede centrale in quanto il telelavoro vincola a lavorare da casa e l’azienda trasferisce le medesime responsabilità del posto di lavoro a casa del dipendente.

Con l’Accordo Quadro del 2004, il telelavoro deve seguire normative precise, come l’obbligo da parte del datore di eseguire ispezioni per assicurarsi regolarità nello svolgimento del lavoro, un adeguato isolamento dell’attività lavorativa da quella quotidiana e sicurezza, per il dipendente e per le apparecchiature tecnologiche utilizzate. Per quanto riguarda l’orario, il riposo è obbligatorio per 11 ore consecutive ogni 24 con astensione lavorativa dalla mezzanotte alle 5.

Confrontando le due modalità operative si riscontra, pertanto, una maggiore rigidità del telelavoro rispetto allo smart working sia sul piano spaziale che temporale.

Il momento di grande cambiamento che stiamo vivendo ha visto crescere la necessità di ampliare l’utilizzo di queste modalità di lavoro che come detto stanno permettendo alle aziende di proseguire nella loro operatività garantendo ai lavoratori il mantenimento della propria occupazione.

E’ necessario pertanto implementare un sistema di cambiamento con una visione di lungo termine approfondendo i necessari risvolti giuridici del cambiamento perché un domani si possa continuare a
costruire su una base solida di continuo miglioramento.

Un consiglio professionale ragionato in una fase embrionale del cambiamento può essere quindi fondamentale allo scopo.

Avv. Stefania Rosa

Tra i misteriosi congiunti si devono annoverare anche i fidanzati

Il DPCM 26.04.2020 che entrerà in vigore il 4 maggio consente “solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute e si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti, purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano usate protezioni delle vie respiratorie”.

La parola congiunti nel nostro ordinamento giuridico è presente solo all’articolo 307 del codice penale, secondo il quale i prossimi congiunti sono gli “ascendenti, discendenti, coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, fratelli, sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti”. Questo elenco, pertanto, non ricomprende fidanzati/e. 

Da un punto di vista giuridico, però, la fidanzata o il fidanzato devono essere equiparati ai congiunti in quanto secondo la Suprema Corte di Cassazione “si deve riconoscere rilevanza giuridica all’esistenza di un rapporto affettivo, non necessariamente assimilabile ad un rapporto di coniugio[…]ed avente caratteri di serietà e stabilità”(Sent. Cass. Civ. n. 7128/2013 ed anche Sent. Cass. Pen. 46351/2014).

Pertanto, il riferimento fatto ai congiunti deve oggi essere inteso nel senso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo, si riconoscono diritti a prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali.

La Cassazione, infatti, sottolinea che “la convivenza non è da intendersi necessariamente come coabitazione, quanto piuttosto come stabile legame tra due persone, connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti”. La Suprema Corte indica come cardine l’articolo 2 della Costituzione che attribuisce rilevanza costituzionale alla sfera di relazione della persona per affermare che lo stabile legame tra due persone  “non debba essere necessariamente strutturato come un rapporto di coniugio” .

Naturalmente la Cassazione ha affermato il principio all’interno di un processo. Resta da capire come possa essere provato “per vie brevi” la sussistenza di uno stabile legame…

Avv. Stefania Rosa