Mi hanno proposto di entrare a fare parti di un Network Marketing, cosa è? Diventerò ricco? Non si tratta, per caso di una catena di S. Antonio?
Il network marketing è un modo per poter creare una rete di distribuzione di prodotti e servizi utilizzando il principio dell’effetto leva per duplicare i nostri sforzi. Sarebbe, tuttavia, ingenuo pensare che si tratta di una modalità di lavoro che consente di arricchirsi in un giorno. Come sempre, solo il lavoro e la perseveranza danno degli utili risultati.
Non basta essere convincenti, ma occorre essere convinti sulle qualità del prodotto che desideriamo promuovere e generare l’interesse del nostro potenziale cliente. Bisogna perciò conoscere a fondo il prodotto medesimo, non importa se si tratta di bulloni o di veicoli spaziali. Occorre sapere tutto di quel prodotto, le qualità intrinseche, le modalità di produzione, i dati correlati, benefici in grado di generare ecc. L’approssimazione non è consentita in quanto immediatamente riconosciuta dal Cliente.
La gente abbandona nei primi mesi perché inizia pensando che si possa diventare ricchi in fretta e senza lavorare e, purtroppo, non è così… Un motivo che sta alla base di questa falsa aspettativa è che spesso, lo sponsor non dice che è difficile perché ha paura di perdere il potenziale partner e la fa sembrare molto più facile di quanto in realtà sia.
Il network marketing è – di fatto – una modalità di lavoro che richiede un investimento in termini di tempo e impegno esattamente come qualsiasi altro lavoro.
Pur tutelando il Network marketing, il sistema giuridico italiano non ne propone direttamente una definizione di ma si limita a porre dei divieti alla creazione di “strutture piramidali” o “catene di Sant’Antonio”.
La legge che disciplina questa attività è la n. 173/2005 che prende in esame tutte le forme di vendite dirette (ivi compreso il Network Marketing). Scopo della normativa è quello di tutelare il consumatore facendo chiarezza nella materia delle vendite dirette al domicilio dei consumatori, al fine di evitare pericolosi equivoci tra le forme di vendita diretta con il metodo del multilevel marketing (MLM) e le vere e proprie forme di truffa costituite dalle vendite piramidali.
Procedendo per differenze rispetto alla vendita diretta, infatti, si può osservare che:
a) la vendita diretta ha lo scopo di avvicinare il produttore al consumatore finale in quanto i distributori comprano il prodotto direttamente dalla compagnia multilevel marketing MLM (non esiste alcuna vendita all’ingrosso, negozi al dettaglio, ecc.) e sono loro stessi a fare pubblicità, con notevole risparmio per la stessa compagnia MLM. Al contrario, le vendite piramidali tendono a moltiplicare i livelli di vendita. Ciò che si compra non è infatti un prodotto o un servizio ma semplicemente la posizione di venditore.
b) una società che opera attraverso forme di vendita diretta retribuisce i propri agenti/venditori attraverso provvigioni direttamente proporzionali alla quantità o al valore del prodotto venduto. Viceversa, in una organizzazione piramidale, il prodotto è solo il pretesto e l’occasione per reclutare altri venditori che pagheranno all’agente esclusivamente la posizione di rivenditore all’interno della piramide. A sua volta il venditore appena subentrato cercherà altri venditori a cui far pagare il “diritto di accesso” i quali a loro volta ne cercheranno altri e così via. Tutto ciò ovviamente, indipendentemente dalla quantità di merce venduta.
In questo meccanismo (di vendita piramidale) la vendita del prodotto non costituisce il vero obiettivo perseguito dal venditore: egli, in realtà, intende vendere la posizione all’interno della piramide, configurandosi così una sorta di “diritto di accesso”. Nelle vendite piramidali, infatti, l’investimento iniziale oltre ad essere obbligatorio, in quanto in realtà volto non all’acquisto di merce, bensì da considerarsi come “entrance fee” per accedere all’organizzazione, può essere anche molto elevato, perché il guadagno per chi è ai vertici della piramide deriva esclusivamente dalle quote di chi entra successivamente.
E’ evidente che il contratto di vendita piramidale si differenzia dal contratto di compravendita disciplinato dagli artt. 1470 e ss. c.c., in quanto non si esaurisce nello scambio di una cosa contro un prezzo, ed anzi, ha ad oggetto il trasferimento ad libitum del diritto/obbligo di reclutamento di altre persone.
Nel disciplinare la vendita diretta il legislatore ha posto limiti precisi per evitare che la stessa celi un sistema illegale di vendita – disciplinando il diritto di recesso che deve riconoscersi al venditore diretto, il necessario possesso di un tesserino identificativo e il regolare adempimento agli oneri fiscali.
Rispetto al fenomeno della vendita piramidale, all’art. 6 della L. 173/2005, il legislatore individua alcuni elementi presuntivi della fattispecie quali l’obbligo di acquistare una rilevante quantità di prodotti senza poterli restituire od ottenere la rifusione di prezzo per quelli ancora vendibili, l’obbligo di corrispondere all’atto di ingresso nella struttura o per permanere nella stessa somme di denaro o titoli di credito di rilevante entità in assenza di una reale controprestazione o anche l’obbligo per il reclutato di acquistare materiali, beni servizi o materiali didattici e corsi di formazione, non strettamente inerenti o necessari all’attività commerciale e comunque sproporzionati al volume dell’attività svolta.
Proseguendo, l’art. 7 delle medesima norma configura la vendita piramidale come reato, sanzionandola con la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno o dell’ammenda da 100.000 a 600.000 euro: si punisce la promozione e la realizzazione di attività e strutture di vendita di cui al precedente art. 5, senza descriverne ulteriormente gli elementi costitutivi.
Se da un lato ciò dovrebbe favorire la punibilità e facilitare la prova, anche in considerazione delle modalità insidiose di reclutamento che spesso sfruttano rapporti amicali o familiari tra i soggetti coinvolti, dall’altro tali elementi restano di difficile dimostrazione e la punibilità è limitata dall’art. 649 c.p..
La Corte di cassazione (n. 37049 del 2012) ha precisato che deve ritenersi irrilevante l’eventuale volontà del soggetto di essere reclutato nella rete, stante il silenzio della normativa. La volontaria adesione non configura quindi fattore di esonero dalla sussunzione, ovvero dal rientrare nella fattispecie vietata.
In conclusione, se mi hanno inviata ad entrare i un Network marketing, se ho la volontà di impegnarmi nel lavoro che mi hanno proposto, la legge tutela la mia attività imprenditoriale e mi consente di porre in essere dei contratti di vendita perfettamente validi nella loro struttura. Se invece, mi chiedono danaro per entrare a far parte di una rete e, di fatto, la mia attività di promozione del prodotto è solo marginale, devo essere accorta e verificare se non si tratta di una struttura piramidale nella quale, con ogni probabilità, finirò per non guadagnare niente.